Refik Anadol, Renaissance Dreams, Installazione, Archive + Machine learning, Palazzo Strozzi, Firenze 2022. Credits: Refik Anadol Studio, Alex Morozov, Carrie He, Christian Burke, Daniel Seungmin Lee, EfsunErkilic, Ho Man Leung, NidhiParsana, PelinKivrak, Raman K. Mustafa, RishabhChakrabarty, Toby Heinemann, YufanXie. Sound Design: KerimKaraoglu
Elena Di Raddo
Il mondo dell’arte è da sempre legato alla società che la produce; ne racconta, implicitamente o esplicitamente, i fatti politici, sociali e culturali, ne interpreta le aspirazioni, talvolta ne prevede gli sviluppi. In tal senso, e in modo esplicito almeno dagli anni Sessanta del XIX secolo, l’arte si è interessata alle novità tecnologiche, fino ad arrivare a sviluppare stili e tendenze che della tecnologia fanno il mezzo e l’obiettivo stesso dell’opera (New Media Art, Net Art ecc.). Nella società che Hal Foster definisce già alla fine degli anni Novanta della “disciplina elettronica” o, per dirla con McLuhan, della “libertà elettronica” e delle “nuove possibilità di cyberspazio” (1), l’arte non si è esentata dallo sperimentare le potenzialità delle immagini e delle esperienze sensoriali offerte dalla tecnologia. L’interazione con il digitale, in particolare, non solo ha provocato una rivoluzione nell’ambito dei linguaggi, ma dell’intero sistema dell’arte. E soprattutto, ha messo in discussione il concetto stesso di centralità dell’essere umano.
La ricerca Cambiamento o Trasformazione? Conoscere, comunicare e trascendere nell’era digitale: La ridefinizione dello spazio sociale e comunitario, promossa da più docenti dell’Università Cattolica (2), iniziata nel 2020 e tuttora in corso, ha indagato, con uno sguardo interdisciplinare, le interazioni e i cambiamenti avvenuti nel concetto stesso di “umanesimo” alla luce delle nuove interazioni con i mezzi digitali e in particolare con l’Intelligenza Artificiale (AI). Ci si è dunque prefissi di esplorare i cambiamenti nel mondo dell’arte da diversi punti di vista, quello culturale, innanzitutto, ma anche quello del “sistema dell’arte”, alla luce della nascita di un “nuovo umanesimo”. La contaminazione di approcci, con cui si è inteso affrontare la ricerca è risultato un approccio innovativo e interessante proprio alla luce di questa ridefinizione digitale non solo dell’arte e del sistema dell’arte, ma dell’uomo stesso e dell’essere al centro dei cambiamenti.
Uno degli aspetti più attuali in relazione all’uso sempre più massiccio dell’Intelligenza artificiale nell’ambito dell’arte è la questione dell’autore; tema che è stato oggetto di un seminario specifico intitolato Arte nell’era digitale: verso nuove forme di autorialità (3), promosso appunto nell’ambito del progetto d’Ateneo. Nell’era digitale infatti assistiamo a due fenomeni distinti che ci spingono a riflettere sul concetto di autorialità. Da un lato, la registrazione sulle blockchain degli NFT rende unica e certificata un’opera digitale, dall’altro le AI, i dati e gli algoritmi vengono impiegati nei processi creativi e produttivi di opere, mettendo in discussione il concetto di “autore”, ponendo una serie di domande. Nella generazione di un’opera d’arte in cui interviene la creatività dell’AI l’artista ha il compito di attivare un processo creativo non del tutto controllabile.
Immagine IA creata per il convegno Arte nell’era digitale: verso nuove forme di autorialità, 6marzo 2023, MEET Digital Culture Center, Milano.
È lecito quindi chiedersi fino a che punto la macchina, l’intelligenza artificiale, gli algoritmi e il machine learning siano da considerarsi semplicemente dei nuovi media. Da Ai–Da, prima artista-robot, alle sempre più diffuse piattaforme “text to image e text to video”, fino al formato DAW® – Digital Art Work, che replica fedelmente ad altissima definizione alcuni capolavori dell’arte, digitalmente autenticati e in edizione limitata, chi è l’autore di un’opera: l’uomo, il robot, l’algoritmo o i programmatori? Siamo forse all’alba di un nuovo umanesimo, dove la macchina non è solo uno dei tanti strumenti nelle mani di un artista, ma è addirittura l’artista stesso? Nell’incontro, che ha visto l’intervento di esperti del mondo dell’arte digitale, della comunicazione e del diritto, sono emerse alcune parole chiave che descrivono i termini principali della questione. La prima parola in assoluto citata da tutti i relatori presenti è stata “immagine”, seguita subito dopo dalla parola “intelligenza artificiale” e da “autore”. Il primo termine afferisce strettamente al mondo dell’arte visiva e soprattutto fa pensare all’opera d’arte come una dimensione di “immagine”, inserendola quindi nell’ambito della cultura visuale, piuttosto che in quella dell’“oggetto artistico”. L’opera d’arte digitale è quindi sostanzialmente un’immagine, anche quando si concretizzi in un oggetto tridimensionale. Ed è nella differenza sostanziale tra “immagine” e “imago” che si può cogliere lo scarto tra ciò che viene creato dall’AI e ciò che viene immaginato e creato dall’artista. “Imago” è il termine con cui Jung definisce una rappresentazione o immagine inconscia. Si tratta di un prototipo inconscio che si forma nell’uomo fin da bambino sulla base delle esperienze e delle sensazioni vissute ed è quindi molto diversa dall’“immagine”, che è invece, la forma degli oggetti percepita dal senso della vista e che riflette la realtà esattamente com’è. Sostiene Domenico Quaranta: “Le intelligenze artificiali sanno sicuramente generare immagini, questo non significa che sappiano necessariamente generare arte”(4).
La presenza alla Biennale di Venezia del 2022 del robot umanoide Ai-Da15 ha portato all’attenzione in una manifestazione di rilevanza internazionale la questione del rapporto tra uomo e macchine, mettendo in discussione l’autorialità dell’opera. Nella mostra Leaping into Metaverse, l’intelligenza artificiale, infatti, controllata dall’ideatore Aidan Miller, creava opere autonomamente, sfruttando una tecnologia di autoapprendimento. Uno dei modelli di sviluppo è attuato tramite la GAN, Generative Adversarial Network, costituita da due reti neurali multistrato in competizione: un Generatore e un Discriminatore. Il primo elabora una serie potenzialmente infinita di immagini partendo da un set casuale di forme, il secondo invece deve riconoscere se qualcuna delle forme prodotte corrisponda alle immagini che fanno parte di un repertorio prefissato (training set) da parte dell’artista. L’interazione tra le due reti produce a sua volta immagini sempre più prossime a quelle che compongono un repertorio immaginato dall’autore.
L’artista non può sapere che cosa avviene nella macchina in quella fase che viene definita “scatola nera” e che costituisce l’atto creativo della macchina stessa. Pur non avendo il controllo completo sull’operazione di generazione di immagini, l’artista mantiene però un ruolo determinante nella scelta delle immagini prodotte e nel processo di affinamento dovuto all’imperfezione della macchina. Si può quindi sostenere che nelle opere realizzate con l’ausilio dell’AI si verifichi quanto nell’avanguardia avveniva nell’arte prodotta dalla poetica dadaista: intervenga cioè la “legge del caso” a scombinare le carte. Tristan Tzara, fornendo la famosa “ricetta” per realizzare una poesia secondo tale legge, sosteneva che essa sarebbe comunque somigliata al proprio autore.
L’AI quindi potrebbe essere un’alleata per l’artista, se utilizzata in chiave critica e co-autoriale (5). Lo esemplifica nel suo lavoro Anna Ridler, che ha dimostrato come l’utilizzo dell’intelligenza artificiale possa essere persino uno strumento per analizzare il proprio stile. L’artista ha creato una breve animazione di circa 12 minuti, intitolata Fall of House of Husher (2017), fornendo alla GAN duecento suoi disegni a inchiostro ispirati ad alcuni fotogrammi del film muto di James Sidli Watsone Mail Webber, versione cinematografica del 1929, dell’omonimo racconto di Edgar Allan Poe del 1839. Nel racconto di Poe il protagonista precipita all’interno dei meccanismi di un incubo che provocano un vero e proprio terrore, che è la causa stessa delle vicende, fino al frantumarsi del soggetto in se stesso. Ridler per creare la sua opera prende avvio dal racconto di Poe, ma per addestrare le intelligenze generative avversarie della GAN si serve di un repertorio di immagini tratte da suoi disegni, che a loro volta sono la rielaborazione del racconto attraverso il medium del cinema. L’intelligenza artificiale, addestrata sulle opere dell’artista, è stata in grado di identificare alcuni elementi ricorrenti del suo stile, che la Ridler definisce “artefatti” e che le sono serviti non solo ad estendere la sua creatività, ma anche a comprenderla meglio:
“Il risultato è opera mia e al tempo stesso non lo è – è riconoscibile come mio, ma non è qualcosa che sarei stata in grado di realizzare da sola (…). La GAN conosce il mio stile. Chiunque vi possa accedere accede anche a un pezzetto di me. Non concepisco la GAN come uno strumento (…), ma non la considero nemmeno come un vero e proprio partner creativo. Non sono sicura di cosa sia veramente” (6).
A proposito di tale lavoro è significativo il commento di Roberto Diodato:
“Mi sembra che il processo di trasformazione e deformazione operato in questo rapporto, in questa emergenza di un sistema naturale e artificiale (l’autrice e l’intelligenza artificiale), traduca in immagine (un audiovisivo) una doppia memoria: un quasi ricordo che si allontana appena, ma sensibilmente, dalla memoria solo esteriore di una banca dati. È come quasi se la stessa Intelligenza Artificiale imparasse ad avere ricordi. Il risultato dell’opera di Anna Ridler è incisivo: sospende il senso di un’immagine di memoria introducendo la nostra sensibilità in una terra di nessuno, un punctum inciso in una strana memoria immagine, quasi umana, in cui si mostra un diluirsi, un indebolimento della corporeità una tendenza all’indistinzione che mi pare profondamente coerente con il senso del racconto di Allan Poe” (7).
Anna Ridler, Fall of the House of Usher I, 2017, Single channel video installation (made with a series of interconnecting GANs). Credits: Anna Ridler
L’uso dell’intelligenza artificiale implica la necessità di fornire allo strumento informazioni che le consentano di svilupparsi e ottenere una propria conoscenza, dei propri “ricordi” da poter rielaborare in base alle richieste che noi le poniamo. I dati, quindi possono essere considerati come la fonte della memoria artificiale, ma cosa accade all’interno della macchina? Cosa accade durante quel processo definito “scatola nera” che sfugge al controllo dell’artista?
Ci si può domandare che cosa accadrebbe se una potentissima memoria fosse in grado di portare in vita un grande artista del passato. A chi apparterrebbe l’autorialità delle opere prodotte dall’AI? La risposta è nel progetto The Next Rembrandt, sviluppata da ING e Microsoft e in collaborazione con alcuni musei che conservano le opere dell’artista olandese, il Mauritshuis Museum e la Casa Museo di Rembrandt. La macchina ha scansionato e analizzato le tecniche pittoriche e i soggetti di oltre trecento dipinti realizzati da Rembrandt tra il 1632 e il 1642 ricavandone una serie di dati elaborati dall’AI per creare una nuova opera, stampata in tre D, che ritrae un uomo del tutto simile ai famosi ritratti di Rembrandt. Ovviamente, in questa sperimentazione appare evidente che l’autore dell’opera non è l’artista olandese, ma una nuova entità meccanica che ha la capacità di creare immagini che possono assomigliare e imitare alla perfezione la sua opera, persino crearne una nuova.
L’artista Refik Anadol, del resto, si serve degli strumenti digitali proprio per dimostrare la centralità dell’umano nel processo artistico ibridato dalla macchina. Nei suoi lavori si confronta con le potenzialità dell’AI, sfruttandone la memoria collettiva e la velocità di ricerca, ma preservando al contempo l’autorialità artistica. “Ci sono artisti che usano l’AI come strumento e ci sono artisti che vogliono che le persone capiscano di più su l’AI” avverte Paola Antonelli (8).
Refik Anadol ha, inoltre, messo a confronto l’intelligenza della macchina con quella umana nell’opera Melting Memories, esposta sotto forma di installazione a Istanbul nel 2018. In tale lavoro egli ha cercato di restituire il processo biologico della memoria umana accostandolo al machine learning (9). Per la creazione dell’opera l’artista si è avvalso della collaborazione con il Neuroscape Laboratory dell’Università della California-San Francisco, registrando dati provenienti da un elettroencefalogramma (EEG) in grado di misurare l’attività cerebrale attraverso gli impulsi elettrici che si generano nel momento del ricordo (10). L’installazione restituisce ai fruitori sensazioni tangibili, mostrando un processo antropologicamente umano e impercettibile di una durata di pochi millisecondi, in un movimento plastico rallentato e riconoscibile. La registrazione della memoria umana viene proiettata su un ampio schermo led, alto sei metri, mostrando una simbiosi conoscitiva su cosa sia umano e le incredibili capacità della macchina. L’opera, in questo modo, spiega l’artista, “lascia intravedere un linguaggio astratto della memoria”(11).Nell’opera immersiva site specific Machine Hallucinations – Renaissance Dreams, realizzata da Anadol per il MEET di Milano nel 2021 e poi riallestita in altri spazi tra cui Palazzo Strozzi a Firenze, l’artista ha messo alla prova l’intelligenza artificiale proprio con l’arte umanistica per eccellenza, quella del Rinascimento, facendo ripercorrere nell’installazione l’arte italiana dal XIV al XVII secolo in base alle categorie di pittura, scultura, architettura e letteratura. Il risultato è una AI Data Sculpture di dimensioni monumentali, che introduce lo spettatore in un viaggio tra i colori e le forme di un possibile sogno artificiale da cui traspare il fascino e allo stesso tempo la paura per la tecnologia: sentimenti contrastanti che sono stati al centro dell’arte almeno fin dal Rinascimento. Ed è proprio nella dimensione sentimentale ed emotiva che sta la chiave dell’autorialità stessa. L’uomo manterrà sempre la sua centralità finché continuerà ad avere paura, a sentire di fronte alle immagini, ad interrogarsi sul perché delle cose.
- Il saggio intitolato Il ritorno del reale. L’avanguardia alla fine del Novecento di Hal Forster costituisce una lettura estremamente significativa dell’arte degli ultimi anni proprio anche in relazione al nuovo umanesimo che essa esprime.
- La ricerca finanziata dall’Università Cattolica è coordinata dal prof. Marco Rizzi e coinvolge otto aree disciplinari Arte, Biotecnologie e Citizens Science, Filosofia, Scienze dell’informazione, Media, Medicina, Psicologia, Scienze religiose.
- Arte nell’era digitale: verso nuove forme di autorialità, convegno a cura di E. Di Raddo e D. Perra, MEET. Digital Culture Center, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 6 marzo 2023. Il seminario ha proposto il contributo di esperti e studiosi provenienti da vari ambiti di ricerca per far luce sul presente e sul futuro della creatività, ipotizzando nuove forme di autorialità e pensando a un nuovo vocabolario per ridefinire il concetto di autore.
- D. Quaranta, intervento al seminario Arte nell’era digitale…, cit.
- Una questione importante che emerge a questo punto riguarda anche il diritto d’autore in senso giuridico dal momento che i sistemi di Intelligenza Artificiale non sono riconosciuti di personalità giuridica.
- A. Ridler, Set di dati e decadenza: Fall of the House of Husher, in Arte e intelligenza artificiale: be my GAN, p. 126.
- R. Diodato, intervento al seminario Arte nell’era digitale…, cit.
- P. Antonelli, Al Art: How artists are using and confronting machine learning/ How to see like a machine, Moma, New York, Youtube.com. 2022
- “Il machine learning è un ramo dell’AI e dell’informatica che si concentra sull’utilizzo di dati e algoritmi per imitare il modo in cui gli esseri umani apprendono, migliorando in modo graduale la sua accuratezza. IBM ha una vasta storia con il machine learning. La coniazione del termine “machine learning” è attribuita a uno dei suoi dipendenti, Arthur Samuel, con la sua ricerca sul gioco della dama. Robert Nealey, autoproclamato maestro di dama, si cimentò in una partita a dama su un computer IBM 7094 nel 1962 e fu battuto dal computer. Rispetto a quello che si può fare oggi, questa impresa sembra quasi banale, ma è considerata una importante pietra miliare dell’AI”. (ibm.com).
- “Curiosamente, il concetto di ricordo nel XXI secolo non si riduce solo al sistema cognitivo e neurologico umano. Ci troviamo in un contesto in cui interagiamo con le macchine. Ho trovato questo argomento interessante e, con l’aiuto dell’eccezionale professore e neuroscienziato Adam Gazzaley, abbiamo incominciato a lavorarci su. Lui è a capo del laboratorio chiamato Neuroscape alla UCSF. Conduce un progetto chiamato “glass-brain”, che ha come scopo rendere l’invisibile visibile attraverso l’utilizzo dei dati. La sua ricerca riguardava le attività cerebrali di una persona in uno stato multisensoriale e il comportamento dei neuroni durante questo processo”. Refik Anadol, intervista di Yonca Keremoglu, “Digicult”, n. 83, 15 maggio 2019.
- R.Anadol, How this guy uses AI to create Art, Wired, Youtube.com, 2020.